DIAFANE PRESENZE
L’idea di modellare delle sculture in funzione o come interpretazione di un testo poetico non ha molti esempi nella storia dell’arte di questi nostri tempi.
Capita invece che succeda il contrario: poesie dedicate o ispirate a opere d’arte (chi non ricorda, per stare ai nostri secoli, il Quasimodo della poesia dedicata a Ilaria del Carretto raffigurata da Jacopo della Quercia nella cattedrale di San Martino a Lucca?).
Ebbene, a questa idea che ritengo bellissima e affascinante, si è dedicata Flavia Franceschini interpretando con sue opere una poesia di suo Padre, Giorgio, uomo politico, storico e, in segreto (lo abbiamo scoperto da poco) poeta raffinato attento ai ritmi bassaniani.
L’occasione per questa performance è stata la inaugurazione di un nuovo luogo di incontri in via Borgo dei Leoni a Ferrara, per la quale era programmata la presenza di una mostra importante.
Le sollecitazioni convinte di un gallerista storico nella Ferrara di questi anni, Paolo Volta e di sua moglie Lucia, hanno convinto Flavia a cimentarsi a condizione di poter lavorare sui temi e sulle suggestioni di versi paterni. Ha scelto quelli della poesia “Mito di Eco e Narciso” dal libro: “Venti Poesie”.
Quando penso ai costosissimi burattini di Cattelan, alle montagne di sale (finte) di Paladino con i suoi cavallini straniti, mi viene un gran desiderio di guardare una “natura silente” (Giorgio de Chirico) di Morandi, (la sua mostra a Lugano è un capolavoro dove si è annientati dal silenzio di quelle immagini) o di accarezzare, nei miei ambiti, una “Pietà” di Annibale Zucchini e, attraverso gli occhi, ossigenarmi la mente.
Ecco, le sculture di Flavia, e non solo quelle del ciclo “Diafane presenze” che sto commentando, sono ossigeno, ossigeno vero per la mente e qui è il segreto del loro fascino.
I titoli sono versi della poesia ma anche così isolati accendono suggestioni che l’artista ha colto con timore e tremore modellando con tecniche tutte inventate le sue immagini.
“E si amò in te”, “Ti vide su molli prati vagare nell’attesa”, “Chiese di piangere sulla bellezza” nominano alcune opere. La capacità di dare forma e consistenza affettuosa a quelle parole è stata la scommessa di Flavia , la quale con la fantasia concreta che da sempre segna il suo lavoro, fantasia che le consente di modellare il legno come se fosse cera e di atteggiare figure secondo moduli che si rifanno a risonanze liberty liberamente interpretate, ha affrontato il tema innovando completamente le sue consolidate tecniche operative e ha scoperto la stoffa, il gesso, la seta pura, le resine, il filo di nylon.
La carica segreta dell’affetto e del ricordo che quei versi hanno provocato l’hanno condotta ad una tensione operativa dove la politezza del suo operare si è trasformata e caricata di altre valenze formali: dalla scultura come “levare” che Flavia ha sempre praticato, al bisogno di arrivare in un momento alto della invenzione, all’”aggiungere”, all’”accumulare” in funzione poetica come nuova frontiera del suo lavoro.
Carlo Bassi
“Diafane presenze” 2012