SENTIERI ANTICHI
Amo mantenere vivi i ricordi del passato, il ritrovarli e l’illudermi di riviverli, in una ricerca carica di struggimento, o sehensuch, dato dalle loro immagini che bruciano, ora, in un ineluttabile silenzio.
Frammenti di reale diventato virtuale, come attimi di sogni, refoli di vento nel presente. Questo tempo vivo e pulsante che talvolta vivo, trasfigurato, come presagio del ricordo futuro.
Quando ero piccola ero convinta che andando in Paradiso avremmo potuto rivedere le nostre vite come un film, con un tempo infinito a disposizione. Spesso vivevo quindi un momento felice sapendo di poterlo, nell’aldilà, rigustare con tutta calma..
Dalla scultura lignea in poi, esplorando altri materiali, ho seguito un desiderio di evanescenza, di leggerezza che levino le catene della pesante gravità. Togliendo concretezza alle forme per cercare di dare luce a ricordi impalpabili e sfuggenti. Come fotogrammi che appaiono e scompaiono d’immagini che ritornano ma sono in realtà perdute.
Memoria come somma di passato, presente e futuro. Quindi tridimensionale, come lo è anche ogni forma scolpita.
In questo presente così raccontato da infinite ed indelebili tracce, ho voluto cercare e far riaffiorare le testimonianze di vite vissute, di presenze familiari più lontane e fragili e per questo infinitamente preziose. Quasi mitiche, come lo erano per Arturo Gerace il misterioso padre e la sua stessa infanzia nell’incantata isola, nel libro della Morante. Viaggiando tra i cassetti colmi di ricordi, nella mia casa paterna, dove i miei antenati hanno avuto il privilegio di poter disporre in famiglia di macchine fotografiche, telecamere o registratori con nastro magnetico, per poter fermare i ricordi.
Impensabile oggi: quando un semplice telefono cellulare fa ogni cosa in un attimo, ogni strumento allora catturava o l’immagine oppure la voce.
Come in Blow up, ingrandendo piccole vecchie fotografie, ho incontrato volti e dettagli sconosciuti, che raccontano così tanto delle persone ritratte, ma anche del loro tempo e dei luoghi. Vivendo un’avventurosa battaglia tra impasses tecnologiche, che mi ha regalato straordinarie piccole scoperte e un mare di emozioni. Conoscendo anche chi non ho conosciuto, ma a cui devo il fatto di esistere. Scoprendo dettagli delle mise, degli ambienti, ma anche leggendo nei gesti e nelle espressioni un poco i segreti dell’emozione di quel momento immortalato dall’immagine, in cui ricevo uno sguardo d’intesa, un sorriso timido o gioioso.
La bellezza di un volto, che vi rimane eternamente giovane. Un abbraccio nostalgico con la sua anima, che mi appare cento anni dopo.
Questo viaggio nel tempo, ora proposto come foto e video installazioni (che stabiliscono un legame fra tradizione e contemporaneità), evoca quindi storie familiari in un vibrante omaggio alle persone amate.
In immagini e voci consegnate alla memoria, dopo questa mia emozionante immersione catartica.
Le immagini imprigionano! Bloccano il tempo che invece deve scorrere e cancellare tutto, lasciandoci solo schegge disordinate e sfuocate della vita che abbiamo vissuto. Del resto se la nostra memoria è imperfetta, se non è stata creata capace di rammentare ogni attimo del nostro passato, una ragione pure ci sarà?
E non è forse vero che per secoli e secoli solo negli occhi dei figli e dei nipoti sono rimaste le immagini, imperfette e leggere, dei volti o dei gesti di genitori o dei nonni. Poi, ahimè, sono stati inventati fotografia e cinema, e la libertà della memoria è finita, imprigionata nella precisione delle immagini.
Le persone che hanno vissuto in questo tempo (poco più di cento anni rispetto alla storia dell’umanità) hanno scelto strade diverse, anche nelle stesse famiglie, anche tra fratelli e sorelle.
Alcune hanno optato la via della rimozione, dell’oblio, scattando anch’essi fotografie o girando film come tutti, ma prestando molta attenzione a non rivedere mai più quelle immagini, soprattutto quelle più lontane negli anni, avendo capito che finiscono per riaprire emozioni soavemente smarrite nella quiete della nostra memoria imperfetta.
Altre invece, come Flavia, hanno scelto all’opposto di raccoglierle, accarezzarle, cullarcisi dentro.
Forse un altro modo di difendersi dalle emozioni che le immagini risvegliano, anche questo trasformare in arte gli attimi, i ricordi, i frammenti di vita più intimi?
Chissà.
DF